Sempre più armati. Da qualche giorno è stato reso noto un rapporto del SIPRI-Stockholm International Peach Research Institute che evidenzia come la spesa militare mondiale nel 2022 abbia raggiunto l’incredibile cifra di 2.240 miliardi di
dollari, livello mai raggiunto prima.
Riguardo all’Europa si parla di un altro (triste) record: nel 2022 la spesa in armamenti è aumentata del 13%, il più grande incremento annuale nel periodo successivo alla Guerra fredda.
Da questa analisi emerge che, negli ultimi 10 anni, in Europa non solo sono cresciuti gli investimenti bellici ma si sono spostati maggiormente sull’acquisto di armi (che è solo una delle voci di spesa insieme alla logistica, gli stipendi dei militari, l’intelligence e molto altro), tanto che se nel 2011 rappresentava il 23% ora i dati evidenziano che è sopra il 28%. A dimostrazione che chi ci guadagna davvero è l’industria bellica.
Certamente il conflitto in Ucraina ha inciso, ma il fenomeno globale della corsa al riarmo è stato osservato da molto prima dello scoppio della guerra che ha solamente accelerato un percorso già intrapreso, anche con la raccomandazione della Nato ai Paesi membri di portare almeno al 2% il budget nazionale per gli armamenti.

E’ chiaro quindi – osserva Francesco Vignarca, coodinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo – che alcune problematiche del mondo sono scelte strutturali perché si investe sulla sicurezza militare, che non è una vera sicurezza, a discapito di tutti quegli avanzamenti civili, sociali ed economici che garantirebbero invece maggiore sicurezza: se la gente vive bene non si fa la guerra e non cerca di migrare. Se ogni anno si utilizzasse il 10% della spesa militare mondiale per obiettivi di sviluppo sostenibile in poco tempo si potrebbero raggiungere risultati importanti come “fame zero”, acqua, sanità e istruzione per tuttI
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