Position Paper 7

PACE E DISARMO

CURATORI:

EDOARDO BARBAROSSA | ASSOCIAZIONE PAPA GIOVANNI XXIII | CARLO CEFALONI | GIUSEPPE PIACENZA | LAILA SIMONCELLI
NICOLA LAPENTA | FABIOLA BIANCHI

o sviluppo sostenibile non può essere realizzato senza pace e sicurezza, e pace e sicurezza sono a rischio senza uno sviluppo sostenibile. L’Agenda 2030, in particolare l’obiettivo 16, afferma la necessità di promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli .
Per misurare la distanza dall’affermazione di tale obiettivo un valido riferimento è il Global Peace Index o Positive Peace Index.27 Ogni Paese ha bisogno di istituzioni e strutture in grado di creare e sostenere società pacifiche. Il “Positive Peace Report 2019”, pubblicato da Vision of Humanity analizza la posizione di 163 stati rispetto al citato Obiettivo 16 e aiuta a comprendere quali siano i principali fattori di pace nel mondo e il perché alcuni Paesi riescono a uscire da situazioni di conflitto mentre altri rimangono altamente fragili. L’analisi ha l’obiettivo di supportare i governi nella creazione di società più pacifiche e resilienti, in grado di resistere a shock interni ed esterni. Nel progressive Report 2017 la situazione dell’Italia rispetto agli indicatori di Pace positiva era quella riportata nel grafico:

Allo stato dell’evoluzione dell’epidemia di Coronavirus è impossibile formulare precise valutazioni sull’impatto economico, dipende da troppe e ignote variabili.
Questa pandemia sta dolorosamente rivelando le disparità di salute esistenti nelle nostre società: essa avrà la maggiore incidenza sulla vita delle persone che vivono in condizioni di privazione o che affrontano difficili circostanze socio-economiche.
Il concetto di crisi e sicurezza di Stati, regioni e popolazioni si è sempre più intrecciato, durante gli ultimi sei anni, con quello di fragilità: nel 2008 la crisi alimentare, quella energetica e quella economico-finanziaria hanno anticipato in modo tumultuoso trasformazioni politiche rilevanti. Più in generale, l’approccio centrato sul concetto di sicurezza umana ritiene che sviluppo, diritti umani, pace e sicurezza siano “indivisibili e interrelati”. Una carenza riscontrata su una di queste dimensioni ricadrà negativamente anche sulle altre.

Nel quadro della globalizzazione queste crisi hanno una tendenza maggiore a propagarsi: le migrazioni, l’inquinamento, il terrorismo, i cambiamenti climatici, le epidemie, i collegamenti economici e finanziari, la criminalità organizzata, i traffici di persone e di armi hanno una dimensione globale più che nazionale e richiedono interventi globali. Il contratto sociale che legittima lo stato dinanzi ai cittadini è compromesso in contesti bellici o di particolare fragilità istituzionale. In questa cornice di ampliamento del perimetro di definizione e intervento per promuovere lo sviluppo sociale, economico ed ambientale diventa particolarmente importante includere temi come la libertà dalla violenza, oppressione e ingiustizia.
La pace, la sicurezza e il disarmo, lo sviluppo e l’eliminazione della povertà, la protezione dell’ambiente naturale — quale primo bene comune —, i diritti umani, la democrazia e la buona gestione degli affari pubblici si configurano come tessere di un mosaico complesso.
Tuttavia, la pandemia, oltre a rivelare le nostre debolezze, la fragilità della nostra specie, l’inadeguatezza di talune scelte politiche ed economiche, ci ha permesso di assistere ad un’esplosione di volontà, solidarietà e creatività, non così inusuale, ma in questa situazione sicuramente dirompente. Ciascuno ha osservato e magari sperimentato un’attenzione eccezionale alle vulnerabilità e alle fragilità, frutto della potenzialità di pace positiva e dell’impegno di tutti i costruttori di pace maturato nel Paese. Come in altre occasioni, purtroppo drammatiche, abbiamo avuto modo di osservare l’enorme patrimonio di pace positiva di cui l’uomo è capace.

Questo patrimonio enorme dove finirà nella post pandemia? Il rischio è che torni nel silenzio operoso che caratterizza la società civile, organizzata e non. La solidarietà, troppo spesso intesa come un accessorio, o come un vezzo filantropico deve essere politicamente valorizzata quale forza creativa e vitale. Se le istituzioni non sapranno raccogliere questo monito sarà più difficile affrontare la crisi anche economica che ci attende. Le rigenerate  e ampliate spinte volontaristiche che vengono dalle persone, dal basso, hanno un immenso valore e non debbono perdersi.
Per attuare la Pace Positiva è necessaria un’interazione sostanziale, trasparente e prospettica fra lo Stato, il Terzo settore, i comparti produttivi ed economici, per promuovere paradigmi politici, economici, sociali, culturali che mettano al centro i valori di riferimento dello sviluppo umano sostenibile. È necessaria un’alleanza che rafforzi e rinnovi costantemente la capacità resiliente e pacifica della società. Le priorità degli interventi, la modalità di gestione, il reperimento delle risorse e tutta la protezione dei cittadini debbono strutturalmente convergere in nuove visioni, che originino dalla centralità dell’uomo in un ecosistema in equilibrio di dignità, diritti e doveri che
consideri i deboli come i punti di partenza e non come effetti collaterali.

In Italia ci sono 231 fabbriche di armi comuni e ben 334 aziende sono annoverate nel registro delle imprese a produzione militare. Una sola azienda in tutta Italia che produce respiratori polmonari, per l’acquisto dei quali dipendiamo dall’estero. È cresciuta nell’opinione pubblica italiana ed internazionale la consapevolezza dell’urgenza di un’inversione di rotta, verso una politica attiva di costruzione della pace che passi anche attraverso il ripensamento delle politiche di difesa e delle politiche industriali del settore della produzione di armamenti.

Il quadro normativo di riferimento

A livello Internazionale

La Carta delle Nazioni Unite:

1. che, nel Preambolo sancisce, “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, …”;

2. che all’art. 1 indica tra i fini dell’Organizzazione quello di “conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale,  la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace”;

3. che all’art. 2 in particolare al parag. 2 afferma, “I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo”, e al parag. 4 “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite”;

4. che nell’art. 4 afferma che “possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli altri Stati amanti della pace“;

5. la Dichiarazione universale dei diritti umani, in particolare l’art. 28; 

6. la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1970 relativa ai principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli stati in conformità con la Carta delle Nazioni Unite;

7. la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto dei  popoli alla pace, adottata dall’Assemblea generale il 12 novembre 1984;

8. la Dichiarazione delle Nazioni Unite sul Diritto e la responsabilità degli individui, dei gruppi e degli organi della società di promuovere e proteggere le libertà fondamentali e i diritti umani universalmente riconosciuti;

9. la Dichiarazione sulla cultura di pace (1999);

10. la Dichiarazione delle Nazioni sul Diritto alla pace (2016).

A livello europeo
Il Trattato sull’Unione Europea più volte richiama la necessità di politiche di pace:

1. l’art. 2 afferma: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”;

2. l’art. 3, in particolare il parag. 1 precisa: “L’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”, e il parag. 5 “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”;

3. l’art. 21, parag. 1: “L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.

A livello italiano

La Costituzione italiana:

1. l’art. 10, primo comma, “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”;

2. l’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”;

3. l’art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

4. la legge n° 185/90 e successive modifiche, che introduce nuove norme sul controllo e la trasparenza dei trasferimenti italiani di materiale d’armamento;

5. la Legge 8 luglio 1998, n. 230 Nuove norme in materia di obiezione di coscienza;
6. la Legge 6 marzo 2001, n. 64 Istituzione del servizio civile nazionale finalizzato ai sensi dell’art.1 comma a, a “concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari” e comma c a “promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli”;

7. la Legge 11 agosto 2014, n. 125 “Disciplina generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo”;

8. il Decreto del 7 maggio 2015 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale portante su “Organizzazione del contingente dei Corpi civili di pace, ai sensi dell’articolo 1, comma 253, della legge 27 dicembre 2013, n.147;

9. la Legge 21 luglio 2016, n. 145 art.1 par.1 Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali; 

10. legge 6 giugno 2016, n. 106 all’art. 8, parag. 1, lettera a) delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale;

11. le leggi regionali per la promozione della pace, dei diritti umani e della cooperazione allo sviluppo e gli Statuti di migliaia di Comuni che contengono la cosiddetta “norma pace diritti umani” che appunto riconosce la pace come diritto fondamentale della persona e dei popol;

Il Ministero della Pace

L’orientamento progressivo, negli ultimi 20 anni, verso il settore militare della società Finmeccanica – Leonardo, sotto controllo pubblico, ha comportato la dismissione di settori di avanguardia tecnologica nel campo civile. Ora è il momento di invertire questa scelta valorizzando il capitale di competenze esistente negli obiettivi dell’auspicato green deal. Saranno sempre limitate, simboliche e residuali le risorse destinate ai settori essenziali della salute, della scuola e delle bonifiche ambientali se non smettiamo come Italia di rientrare tra i primi 10 Paesi esportatori di armi pesanti. Bisogna saper distinguere le politiche di difesa dal cedimento agli interessi di gruppi di interesse che spingono a competere sul mercato internazionale degli armamenti fino a vendere tali prodotti alle nazioni in guerra, aggirando il dettato della legge 185/90 che è un esempio di una normativa nata dall’impegno di una società civile coerente e attiva.

La pace deve essere adeguatamente pianificata e sostenuta. I fattori che contribuiscono alla violenza, all’apertura di tensioni e conflitti civili, siano essi fattori attitudinali o comportamentali, o fattori relativi alle più ampie condizioni socioeconomiche, culturali e politiche (Oms, 2002, p.3) possono essere modificati dalle infrastrutture per la pace. L’obiettivo di queste considerazioni è quello di presentare, grazie a scelte strutturali da compiere nel momento presente, con una nuova visione giuridico – politica, l’auspicabile istituzione di un nuovo Ministero della Pace, delineando un nuovo assetto dell’organizzazione ministeriale definita dalla legge Bassanini e sue successive modifiche. Dall’esame delle norme costituzionali, che ancor oggi non hanno trovato una compiuta attuazione, si delinea il ruolo innovativo di un Ministero della Pace, che non solo riteniamo essere la migliore struttura nazionale per l’attuazione del diritto alla pace ma anche per spazi della Costituzione Italiana mai colmati.
Con l’Istituzione del Ministero della Pace, nasce in sostanza una nuova istituzione per una nuova “era” segnata da una riconversione della politica che si dedichi e riparta dalla sussidiarietà circolare, fatta di vera co-progettazione per la Protezione delle persone, per la Pace Positiva, per un nuovo paradigma di sicurezza e solidarietà universale e che dia finalmente Casa e Dignità ai costruttori di Pace, realizzando così l’obiettivo 16 dell’agenda 2030 per lo sviluppo umano sostenibile.

Le competenze del Ministero:

1. promozione di politiche di Pace per la costruzione e la diffusione di una cultura della pace attraverso l’educazione e la ricerca, la promozione dei diritti umani, lo sviluppo e la solidarietà nazionale ed internazionale, il dialogo interculturale, l’integrazione;
2. disarmo, con il monitoraggio dell’attuazione degli accordi internazionali e promuovendo studi e ricerche per la graduale razionalizzazione e riduzione delle spese per armamenti e la progressiva riconversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa;
3. difesa Civile Non Armata e Nonviolenta, con particolare riguardo ai Corpi Civili di Pace al Servizio Civile quali strumenti di intervento nonviolento della società civile, nelle situazioni di conflitto e in contesti di violenza strutturale e culturale;
4. prevenzione e riduzione della violenza sociale e promozione di linguaggi e comportamenti liberi dall’odio;
5. qualificazione delle politiche di istruzione rispetto all’educazione alla nonviolenza, trasformazione positiva dei conflitti, tutela dei diritti umani e mantenimento della pace;
6. mediazione sociale, riconciliazione e giustizia riparativa, promuovendo misure concrete di “riparazione” alla società del danno commesso dal reo.

Il Ministero per la Pace, in collaborazione con altri ministeri e gli altri organi istituiti presso amministrazioni statali, individua azioni coordinate nazionali e costruisce una politica strutturale per la pace.

Attraverso il ministero si promuovono queste proposte:
1. una moratoria di un anno sull’acquisto di nuovi armamenti, come promosso dalla Rete per il disarmo, Rete per la pace e Sbilanciamoci. Le spese militari previste per il 2020 sono di 26,3 miliardi di euro, con un aumento del 6% rispetto al 2019. La proposta è di diminuire la spesa militare prevista per il 2020, azzerando completamente per un anno i fondi per nuove armi allocati presso i ministeri della Difesa e dello Sviluppo economico e non dare avvio alla cosiddetta “Legge Terrestre” richiesta dall’Esercito. Complessivamente si tratterebbe di una cifra maggiore di 6 miliardi di euro risparmiati che potrebbero essere immediatamente riconvertiti e investiti per gestire l’emergenza e le fasi post Covid-19, e in particolare: in sanità, educazione, welfare, difesa civile e nonviolenta. Si richiede inoltre il blocco totale di ogni invio o transito di armi verso i Paesi in guerra in conformità alla legge 185/90 e all’appello del segretario generale della Nato sul cessate il fuoco;
2. riconversione economica industriale: si tratta di finanziare e rendere operativo il fondo per la riconversione già previsto nella legge 185/90. Monitorare le aree di crisi che espongono al ricatto occupazionale da parte del complesso industriale bellico e investire della finalità di riconversione integrale del territorio coinvolgendo i soggetti istituzionali destinati allo sviluppo economico come, ad esempio, Invitalia. La necessaria ridefinizione della strategia di Leonardo è in grado di liberare risorse effettive per un solido piano industriale. Non si tratta di distruggere posti di lavoro ma di moltiplicarne il numero e la qualità in termini di dignità ed effetti redistributivi sul territorio. L’analisi conseguente all’impegno costante e competente proveniente dagli uffici internazionali dei sindacati dimostra che non sono affatto le armi ad assicurare il lavoro. Anzi, la concentrazione in questo segmento produce effetti recessivi dell’economia nel suo insieme;
3. investire nella Difesa Civile non armata e nonviolenta: come richiesto da tempo dalla Campagna “Un’altra difesa è possibile”— promossa dal Tavolo interventi civili di pace, Conferenza nazionale enti di servizio civile, Forum nazionale servizio civile, Campagna sbilanciamoci!, Rete della pace e Rete italiana per il disarmo — è necessaria l’istituzione di un Dipartimento che abbia competenza sulle esperienze di difesa civile nonviolenta;
4. è necessario potenziare il Servizio Civile affinché diventi a tutti gli effetti universale, ovvero affinché tutti quelli che lo desiderino (ad oggi circa 100.000 giovani l’anno) possano effettivamente svolgerlo;
5. questo nella fase post Covid-19 sarà fondamentale;
6. l’attuale riattivazione di circa 23.000 giovani in servizio civile, anche in attività che si discostano da quelle previste da progetto per rispondere alla situazione di emergenza, è stata resa possibile perché si è usciti dagli schemi rigidi dei progetti, per operare con modalità più flessibili e semplici, costruendo in pochissimo tempo nuovi modelli di intervento. Questa esperienza va capitalizzata e trasformata in modalità operativa anche successivamente al 31 luglio e nelle
fasi post Covid-19;
7. va data continuità alla sperimentazione dei Corpi Civili di Pace, istituita con la legge n. 147 del 2013 (Legge di stabilità 2014) che ha previsto l’istituzione in via sperimentale di un contingente di corpi civili di pace destinato alla formazione e alla sperimentazione della presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale.
I conflitti all’estero su cui intervengono i Corpi Civili di Pace della sperimentazione, ma anche alcuni soggetti della società civile che da anni intervengono in zone di conflitto, promuovendo la prevenzione e la trasformazione nonviolenta dei conflitti, e la protezione delle vittime del conflitto, vanno promosse, sostenute, valorizzate ora più che mai. La pandemia rischia di avere gravi ricadute nel rispetto dei Diritti Umani, soprattutto in alcuni Paesi, di acuire i conflitti, abbassando l’attenzione della Comunità internazionale sugli stessi, isolando ulteriormente i/le Difensori/e dei Diritti Umani.