Position Paper 1

BUDGET DI SALUTE

CURATORI:

SILVIA JOP | ANGELO RIGHETTI | GIOVANNA DEL GIUDICE | EDOARDO BARBAROSSA | ANGELO MORETTI | ANDREA MAZZI | LEA TOBIA

L’emergenza generata dalla diffusione del Covid-19 e le conseguenti misure di gestione del virus, hanno messo in evidenza le criticità del nostro sistema sociale e culturale, criticità che vedono nella ridefinizione del concetto di “salute” un presupposto fondamentale per essere superate. Risulta dunque ora più che mai necessario unire le forze e le competenze ai fini della rifondazione delle basi su cui sviluppare le priorità che oggi riguardano la salute di tutte e tutti: benessere condiviso,  accessibilità alle risorse, sostenibilità ambientale e intersoggettiva. Perché questo accada è necessario ri-consolidare il rapporto tra pubblico, privati e capitale sociale attorno all’attivazione di progetti innovativi che, nel generare nuove forme di coesione sociale, diano vita a modelli virtuosi di gestione e co-gestione dei territori abitati.
Le diverse sperimentazioni del Budget di Salute avvenute nell’ultimo ventennio in diverse parti di Italia ed in particolare modo nel distretto socio-sanitario di Trieste e di Messina, nella regione Campania sono oggi esperienze mature di un nuovo welfare per le persone con disabilità, esperienze che richiedono di essere replicate a livello nazionale ed estese ad altre categorie di fragilità sociosanitarie e sociali, per scongiurare gli effetti nefasti di una cultura manicomiale e segregativa che ancora vive nel nostro welfare a 40 anni dalla legge Basaglia.
Indispensabile alla realizzazione di questo grande passo, sono la ricostruzione storica dei suoi elementi fondativi, la ricognizione degli strumenti tecnico-giuridici-economici necessari alla sua attuazione, una presentazione del contesto alla luce di quanto accaduto con la pandemia in atto e un’analisi al contempo critica e progressiva delle relazioni tra i soggetti coinvolti.

Il 1978 e la rivoluzione basagliana

Oggi si parla dei manicomi come di un tempo che fu. Ma i “nuovi” manicomi che viviamo tutti i giorni non sono il tempo che fu. Siamo abituati a pensare al passato come impossibile presente. Chi lottò per la chiusura dei manicomi non ha mai immaginato che, una volta chiusi, sarebbe scomparsa la prassi e la cultura manicomiale. Fu solo un inizio, frutto di lotte e pratiche decennali, che posto in legge autorizzò la speranza. La prassi di rottura dei codici di lettura (episteme) della malattia mentale come incurabile, incomprensibile e pericolosa, che il manicomio proponeva come muro di difesa della società, delle famiglie,
dei territori e delle regole di convivenza controllate, aveva promosso un passo in avanti sui sistemi di cura delle persone con malattia mentale, mettendo al centro del nostro interesse la dignità, i diritti e la responsabilità della persona.
Questa rottura della cultura riguardava anche l’ideologia psichiatrica, divenuta per accettazione delegata e conveniente, pericolosa, incomprensibile e stigmatizzante. Ma non fu solo la chiusura degli ospedali psichiatrici, pure importante, ma l’entrata delle persone con malattia mentale nella cittadinanza, la fine di uno “statuto speciale”. Ad essere fondato era prima di tutto un nuovo modo di intendere e vivere i rapporti sociali che a sua volta creava lo spazio per lo sviluppo di nuovi modelli terapeutici e la riorganizzazione dell’architettura della cura tra struttura e infrastrutture.

Il 1978 segnò un percorso di dialogo e alleanza tra laici e cattolici. Produsse le leggi di chiusura dei manicomi, degli istituti per minori, di abolizione delle classi speciali. Fu resa operativa, dopo vent’anni di attesa, la legge di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, universale, incentrata sulla prevenzione delle malattie e sul contrasto agli impedimenti fisici, psichici e sociali che minaccino o compromettano il benessere, la salute e la partecipazione di ognuno alla vita politica della comunità. Essa bloccava e riconvertiva tutte le condizioni di istituzionalizzazione delle persone con malattia cronica e disabilità sociale. Furono
riconfermate le leggi sul paniere per i beni di prima necessità: l’equo canone, il presalario di merito per l’università, le pensioni anticipate per le donne con figli e per chi cambiava mestiere e avesse ventiquattro anni di lavoro, l’ordinamento sulla sicurezza del lavoro, le liste di collocamento obbligatorio, il lavoro usurante, il sostegno all’invalidità e l’integrazione sociale delle fasce deboli come sistema prevalente sulla sicurezza. Il 1978 fu l’anno dell’uccisione di Aldo Moro. Quattro giorni dopo il ritrovamento del suo corpo in via Caetani, il Parlamento italia no approvava la legge di riforma della psichiatria, L. 180, con un sostegno decisivo delle donne in parlamento. Due anni dopo se ne andò Franco Basaglia.
In questi 40 anni la società è profondamente mutata, si sono smarrite le relazioni familistiche e comunitarie, si è costruita una scala sociale figlia del progresso in cui le persone più fragili sono rimaste progressivamente emarginate e sole. Così la manicomialità che sembrava archiviata è tornata in auge più chiusa e feroce di prima. Si rifonda negli ospizi, nelle Rsa, negli istituti per le persone con disabilità, nei centri di accoglienza degli immigrati.

 

La pandemia e la débâcle della salute territoriale

 Dopo quasi quarant’anni di silenzio assenso sul modello del welfare imprenditoriale germogliato intorno ad una falsa rappresentazione del concetto “di tutela delle fragilità”, i dati sulle morti delle persone fragili nelle Rsa delle regioni tradizionalmente ricche del Paese mettono a nudo una grande verità. I decessi nelle strutture convenzionate da marzo ad oggi sono stati tanti, ormai calcolati il 58% del totale dei morti. Tutti abbiamo i riflettori puntati sulle case di riposo, ma cosa stiamo guardando? Il virus o gli anziani? È la buona occasione per guardare gli anziani, e con loro anche i disabili, i sofferenti psichici, i minori a rischio, i detenuti, gli immigrati regolari e sfruttati, sono molti di più delle persone decedute.
I nostri vecchi stanno morendo silenziosi e soli nelle strutture protette che raccolgono anziani con disabilità sociale, autosufficienti e non, soli o con famiglie, che non hanno reddito sufficiente per pagare una badante/una casa. Persone che sono di peso per l’efficiente funzionamento della famiglia o costrette da una scelta obbligata. Persone, inoltre, con disabilità fisica, psichica, sensoriale neuro e/o psichiatrica, divenute anziane nelle strutture protette per giovani con disabilità sociale. La questione della salute in carcere rappresenta una riforma incompiuta. La domanda di salute negli istituti di pena è più alta che all’esterno anche a causa degli effetti della detenzione sull’individuo. La patologia più diffusa è il disagio psichico, sia come causa della detenzione che come effetto della stessa.

La povertà economica delle famiglie e delle comunità produce povertà educativa, perdita di ruolo sociale, scarsa accessibilità alle cure preventive di primo secondo e terzo livello, dirottate dal sistema pubblico a quello privato a costi non sostenibili dalle povertà che in questo modo divengono “povertà trappola” da cui non esci. Abolita la preminenza del sistema pubblico nelle misure di protezione sociali e delle persone fragili, la povertà progressivamente si estende a quella culturale, formativa, informativa, di accesso alle cure, lavoro, casa, affettività, apprendimento, futuro. L’assistenza diviene così il sistema di controllo
sociale afona delle indotte povertà e i diritti individuali depurati dalla responsabilità sociale divengono privilegi premiali dell’egoismo sociale.
La previdenza è divenuta un asset finanziario per la libera concorrenza tra gli imprenditori dell’assistenza: autorizzati dalle Regioni a costruire il mercato concorrente dell’offerta di strutture protette che pagheranno le famiglie, gli assistiti stessi sino a 4 quinti della pensione, le Aziende sanitarie per le quote spettanti e, se poveri, il civilmente obbligato (il Comune) che si può rivalere sui beni dell’assistito. Il Covid-19 ha evocato l’ecatombe crudele che sta avvenendo. È la morte del nostro modello assistenziale.

I grandi investitori moltiplicano il fabbisogno di strutture protette, un mercato di gran lunga più redditizio di quello degli appartamenti per famiglie. In particolare le strutture per anziani in cui ogni posto letto frutta importanti rendite mensili. Le Regioni sono impedite per non turbare la regola europea della concorrenza, a programmare e scegliere il modello di assistenza che gli investitori considerano più profittevole/sostenibile. La strada da percorrere è evidentemente un’altra

 

Investire sulle determinanti sociali della salute

Urge, dopo l’emergenza pandemia, un grande progetto di restituzione della cittadinanza agli anziani, ai disabili, ai poveri. I vecchi non devono diventare un asset economico del mercato della morte e dell’assistenza, ma i cardini del welfare familiare e generativo, gli attivatori di una comunità nell’abitare, della formazione, del lavoro, del ben vivere. I vecchi devono tornare ad insegnare riposando, a testimoniare sostenendo i giovani. Prevenire la necessità delle strutture protette e riconvertirne le risorse per fare crescere i sistemi di welfare comunitario generativo e familiare, i servizi di prossimità, il capitale sociale delle comunità.

Questa promozione attiva della salute territoriale è stata lentamente e colpevolmente osteggiata anche da sistemi imprenditoriali del welfare che hanno strutturato morselli di offerta di assistenza che hanno poi finito per condizionare inevitabilmente la domanda di caring.
Ora, dopo questa pandemia, le importanti risorse economiche che arriveranno sui territori con lo scopo di riparare i danni sociali ed economici devono poter essere redistribuite partendo da un progressivo cambiamento del modello assistenziale. Riconvertire i costi delle rette individuali per strutture protette sia previste che in essere, in investimenti produttivi di salute e sviluppo umano ed economico locale attraverso progetti terapeutico riabilitativi personalizzati con budget di salute, è una delle strade principali per un cambiamento possibile di paradigma del welfare post pandemico.
I buoni risultati raggiunti hanno permesso di rimettere in discussione la relazione tra Primo, Secondo e Terzo settore ed esprimere una legge nazionale sui Budget di Salute che è in attesa di essere calendarizzata. Una delle principali determinanti sociali della salute non può che essere l’accesso garantito ad un reddito dignitoso e l’efficacia dei sistemi di inclusione sociale. La messa in opera di un reddito europeo di base a chi ha perso o mai avuto il lavoro, garantire la casa, una famiglia e una comunità che supportano le persone sole ed a rischio di esclusione, è una misura che dirà se l’Europa è comunità solidale degli umani o una comunità fondata solo sul mercato comune.

La scelta di permanere nella propria casa, con la propria famiglia e nella propria Comunità va agevolata e sostenuta proprio utilizzando il Budget di Salute, anche assicurando la possibilità al caregiver che sceglie di prendersi cura della persona fragile forme di tutela economica rispetto alla sua condizione di vulnerabilità e di pregiudizio della carriera lavorativa. Ma anche in assenza di un caregiver familiare, la scelta di permanenza si può sostenere con forme di condivisione intergenerazionale, come dimostrato dall’esperienza della “Casa dei Nonni di Forlì” promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, in cui è fondamentale la relazione di mutuo aiuto fra giovani ed anziani, non consanguinei ma a sostegno l’uno dell’altro.
Il diritto alla speranza di cambiamento è ora possibile, ma è soprattutto urgente, se non sarà lo Stato ad agire con tempestività, agirà l’antistato. Le Istituzioni pubbliche locali, l’economia civile e la società civile, avendone titolarità, devono farsi promotori di un grande accordo per il rilancio dei sistemi di welfare comunitari e generativi come premessa allo sviluppo umano, ecosistemico ed economico locale.

 

Le riforme possibili

Chiediamo e proponiamo di riprendere il cammino della legge 833/78 fondata sulla prevenzione e la medicina territoriale, superando definitivamente le leggi 502 e 517 del 1992 e rivisitando il titolo quinto della Costituzione.
Chiediamo di stabilire che il finanziamento pro-capite del Servizio Sanitario Nazionale non separi le aziende ospedaliere da quelle territoriali. L’ospedale e il territorio devono essere integrati anche nella didattica e nella ricerca/innovazione. Il patrimonio dei beni immobili a difesa e promozione della salute territoriale deve essere restituito nella disponibilità dei Comuni e sottratto alle logiche aziendali a cui oggi è sottoposto.
Il ministero della Salute, gli assessori alla Salute dei Comuni e delle Regioni dovrebbero occuparsi dell’integrazione sociosanitaria come asset centrale dello sviluppo locale, non con politiche dettate dalla mera urgenza della presa in carico condivisa di pazienti cronici, ma come investimento sulle determinati sociali della salute.

1. i Drg delle prestazioni sanitarie (il metodo ufficiale di computazione dei costi delle performance sanitarie) devono avere una computazione olistica di tipo sociosanitaria, includendo i costi sanitari e sociali delle cure efficaci e della salute;
2. lo Stato deve entrare nella programmazione strategica sociosanitaria per la popolazione partecipando alla capitalizzazione delle imprese esistenti o da costituire e/o allargare per la produzione autonoma nazionale di sussidi tecnologici per la qualità di vita delle persone fragili;
3. le famiglie che scelgono di condividere il percorso di fragilità della persona anziana o disabile devono ricevere un sostegno economico pari allo stipendio medio di un operatore sociale e, ove lascino l’impegno lavorativo, adeguate tutele fiscali, previdenziali e di tutela del posto di lavoro;
4. la salute dell’ambiente, dell’agroalimentare e dell’allevamento deve essere inquadrata non semplicemente in un ruolo difensivo ed ispettivo delle autorità sanitarie locali, ma quale investimento di sviluppo delle Aziende Sanitarie congiuntamente alle politiche sociali, lavorative ed ambientali dei Comuni;
5. l’accesso alla tecnologia 4.0 deve essere promosso nelle organizzazioni sanitarie e scolastiche con effetto immediato. La deburocratizzazione e la digitalizzazione della sanità, della scuola, dei Comuni, dello Stato e delle organizzazioni produttive è un compito non più rinviabile per garantire un’effettiva uguaglianza dei punti di partenza.
6. È necessario garantire il diritto alle cure e alla prevenzione ai ristretti nelle nostre prigioni.
7. In carcere durante il lockdown hanno fatto ingresso le nuove tecnologie. La sospensione forzata dei colloqui visivi con i familiari ha obbligato gli istituti a sostituirli con le videotelefonate tramite smartphone. La speranza è che all’auspicata riapertura degli istituti non si torni indietro eliminando il ricorso a queste nuove tecnologie, che sono invece preziose per aumentare i contatti con le famiglie, con la scuola e l’università.

Un nuovo strumento: i Budget di Salute

Per ogni persona vulnerabile, compresi i detenuti, i minori a rischio, gli immigrati che devono integrarsi, lo Stato non dovrebbe semplicemente spendere ma investire in coesione sociale, investire nel capitale sociale che determina il cambiamento dei luoghi e delle persone, investire nelle pratiche sociali che valorizzano e non estraggono la sofferenza dai territori per concentrarla in strutture dedicate, sulla base di rette (tra l’altro con una differenza tra Nord e Sud come se le vite degli anziani e dei disabili avessero prezzi diversi).

Per ogni vulnerabilità lo Stato, attraverso i Comuni preferibilmente, dovrebbe investire in un progetto in cui il legame tra la persona ed il territorio sia inscindibile e tangibile. La sanità efficiente del nostro welfare ha costi elevatissimi proprio nella presa in carico dei cosiddetti pazienti dalle porte girevoli, pazienti che entrano ed escono dalle cliniche e dalle strutture, come dalle carceri e dalle comunità terapeutiche, con il sistema delle rolling doors, perché vivono in una condizione di fragilità non transitoria ma esistenziale. Sarebbe molto più congrua una spesa sociale in cui sia il vicinato, la cooperativa sociale del quartiere, il contadino amico, il commerciante di fiducia a prendere in carico quell’investimento sociale, quel budget per la salute della persona. È possibile? Sì, è possibile.

Questa è la ricetta dei Budget di Salute, che oggi sono residuali rispetto ai ricoverati nelle strutture, soprattutto al Nord, proprio come le misure alternative sono residuali rispetto al carcere, mentre dovrebbero essere la norma in una giustizia penale moderna.
Il Budget di Salute è l’unità di misura che indica quante /quali risorse umane, tecnico/professionali, economiche e per quanto tempo si devono investire per modificare la qualità dell’habitat istituzionale e sociale insieme con persone affette da gravi malattie croniche, cronico e/o eredo degenerative e con tutti i cittadini di qualsiasi età e provenienza che esprimano necessità di integrazione ai bisogni primari e carenza di accesso ai diritti universali. I vincoli valutativi del progetto terapeutico riabilitativo personalizzato (Budget di Salute) sono esterni alla malattia/disabilità e riguardano le aree vitali delle persone: la casa, il lavoro, l’affettività. I vincoli valutativi interni diagnostici, prognostici e terapeutico riabilitativi fanno riferimento alle tecniche puntuali al massimo delle conoscenze applicative aquisite-evidences based medicine — e valutate attraverso l’Icf— che rileva il funzionamento sociale individuale e comunitario sugli obiettivi condivisi-esiti.

La valutazione dei Budget di Salute è, infatti, sugli esiti degli interventi e non sulle procedure e presume trasformare la persona, il suo contesto familiare e sociale in risorsa che, a sua volta promuova la possibilità per ogni persona di vivere, lavorare e abitare in un luogo scelto dalla persona, collaborando a rimuovere gli ostacoli di natura individuale, sociale, culturale, economica, tecnica, istituzionale che impediscono la sua partecipazione alla vita politica della comunità.

Il Budget di Salute è un metodo scientifico per modificare, ad intensità di investimento variabile, valutato e predefinito, le determinanti sociali, culturali, economiche, istituzionali, tecniche che, non integrate nella cura, sostengono le prognosi negative delle persone con malattia cronica. La compromissione dei processi di emancipazione/inclusione restitutiva dei diritti/responsabilità esita, infatti, in disabilità sociale cronicizzata. L’applicazione del solo modello sanitario nella cura di queste persone produce disabilità sociale, consumo inappropriato di risorse sanitarie ed espulsione delle persone nell’assistenza passivizzante delegata dal sistema sanitario pubblico al
mercato assistenziale con un aggravio di costi, crisi di sostenibilità e una diffusa deresponsabilizzazione delle Istituzioni sociali e sanitarie pubbliche. Il Budget di Salute integra risorse sanitarie, sociali, educative, umane, professionali, economiche sia della persona stessa sia della famiglia sia della comunità locale partendo dalla presa in carico congiunta tra sistema pubblico — i servizi — e sistema privato — i corpi intermedi contestuali, la persona stessa e la sua famiglia.

Le risorse economiche messe dal sistema pubblico sono temporalizzate, ad intensità variabile a seconda del bisogno, date figurativamente alla persona che le gira contrattualmente al corpo intermedio inscritto come idoneo dall’azienda sanitaria previo avviso pubblico aperto dove l’azienda sanitaria e gli ambiti sociosanitari territoriali stabiliscono le regole per il conseguimento dell’idoneità/disponibilità e per le verifiche.

Il contratto, redatto sulla base del dispositivo della “Negoziorum Gestio”, descrive gli impegni reciproci: della forma societaria, della persona che ne entra a far parte, dei responsabili del pubblico servizio sanitario e sociale, della famiglia. È un project financing personalizzato e finalizzato a ricostruire il diritto/responsabilità condivisi di poter vivere lavorare e abitare in un luogo scelto dalla persona stessa. Il processo di capacitazione chiamato progetto terapeutico riabilitativo personalizzato richiede il concorso di plurime competenze tecnico/professionali/30 umane/intersoggettive/economico/gestionali/imprenditoriali/aziendali/artistico/creative.

Lo strumento imprenditoriale viene agito da compagini societarie mutuali, espressione della concreta ricerca di coesione sociale, qualità del lavoro e del prodotto, disponibili ad includere in qualità di soci fruitori/sovventori e progressivamente, laddove possibile lavoratori, almeno il 30% di persone così come da art.4 L.381 e/o legge 68: tali compagini, per le loro finalità statutarie, sono prioritarie nella presa in carico congiunta delle persone con Budget di Salute. Ne consegue che ogni forma imprenditoriale è o diviene sociale e quindi idonea ad accogliere le persone in Budget di Salute quando è in grado di esibire una compagine societaria così come sopra descritto indipendentemente dalla tipologia di prodotto perseguito come obiettivo aziendale. Il sistema pubblico fa parte di queste imprese sociali anche attraverso fondazioni partecipate o imprese sociali miste, aiutandone il controllo di gestione programmatico, economico, attuativo. Può distaccare operatori, comodare beni o lasciti finalizzati non strategico-sanitari, partecipare alla costituzione di fondi investimento desunti dai Budget di Salute.

Il sistema informativo e il programma di gestione e valutazione deve essere pubblico e in capo al coordinamento sociosanitario delle aziende sanitarie. Il principio della co-progettazione, co-gestione, co-produzione è il fondamento dell’esercizio dei Budget di Salute e permette alle persone di non divenire merce di scambio sul mercato degli appalti accreditati per le strutture estintive e le prestazioni spersonalizzate.

Il metodo dei progetti terapeutico riabilitativi personalizzati nasce dal dipartimento di salute mentale, dal coordinamento sociosanitario delle unità sanitarie locali, dal
Comune e dalla Provincia di Pordenone e dall’area collaborativa dell’Oms del Centro Studi della Regione FVG negli anni ottanta in co-progettazione, co-gestione, co-produzione con le prime cooperative sociali allora legiferate finalizzate e definite come strutture operative dei sevizi sociosanitari per l’inserimento lavorativo e abitativo delle persone da de-istituzionalizzare e per quelle a rischio di abbandono o di istituzionalizzazione. La sua applicazione si è diffusa in FVG e in varie Regio32 ni italiane, Treviso, Brescia, Milano, Biella, Torino, Parma, Bologna, Modena, Perugia, Roma, Caserta, Napoli, Benevento, Salerno, Lecce, Foggia, Lamezia, Reggio Calabria, Messina, Catania, Cagliari, con l’implementazione di successo della regione Campania che raccogliendo lo stimolo e le pratiche dei ragazzi di don Peppe Diana del consorzio Nco, dell’Azienda sanitaria e di tutti i comuni di Caserta2 , approva la prima legge regionale frutto di lotta strenua sui Budget di Salute. O la Fondazione di Comunità di Messina che all’interno del progetto Uomini del
Sud, realizzato dalla Rete dell’Economia Sociale Internazionale Res-Int su finanziamento da parte della Fondazione Con il Sud, sostiene la deistituzionalizzazione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari del Sud e le fasi di riabilitazione, inclusione e socializzazione dei loro internati. O l’esperienza applicativa e originale del centro Africa dove il Budget di Salute ha liberato 75mila persone malate dimente incatenate ai margini dei villaggi o abbandonate, e accolte curate e reinserite nei loro villaggi o nei centri comunitari, nelle fattorie sociali. Gregoire Augbonon vincitore del premio Franco Basaglia, insieme al dipartimento di Salute Mentale di Palmanova, al centro collaborativo dell’Oms, all’area welfare del FVG e alle missioni Cattoliche della Costa D’Avorio ne sono tutt’oggi i costruttori di pratiche e di senso.

Linee di indirizzo e strategie operative

Gli interventi sociosanitari integrati dovranno tradursi in specifiche scelte operative, tese a incidere e a modificare la qualità della vita di una collettività, incrementandone il benessere, ovvero riducendo i fattori di rischio. In particolare essi serviranno a:

1. identificare modalità d’integrazione e partenariato (sistema relazionale) tra attori e pratiche  operative che favoriscano, sostengano ed alimentino processi di “qualità sociale” e che aumentino gli spazi di vita pubblica e di partecipazione alla costruzione del bene comune;
2. valorizzare e promuovere la capacità delle comunità locali ad affrontare i propri problemi, intervenendo dall’esterno quando è necessario immettere risorse aggiuntive (economiche e non) per incrementare le capacità di risposta autonoma;
3. riconoscere agli utenti e ai loro familiari la capacità di interpretare i rispettivi bisogni e di scegliere soluzioni adeguate;
4. riconoscere alla comunità locale la capacità di organizzarsi per rispondervi;
5. sostenere o integrare entrambe queste capacità dove non sufficientemente sviluppate;
6. comprendere il Terzo settore e le forme di auto–organizzazione della comunità locale tra i protagonisti delle risposte ai bisogni del territorio;
7. ribadire il ruolo della Pubblica Amministrazione come essenziale per garantire l’universalità di accesso ai servizi e la definizione delle regole a garanzia della corretta redistribuzione e funzionamento del sistema e della loro giusta applicazione;
8. favorire un percorso di riappropriazione, da parte delle famiglie e delle associazioni di utenza, di un ruolo prioritario nel provvedere ai bisogni sociali in modo mutualistico;
9. promuovere la realizzazione di strumenti di controllo da parte degli utenti associati (cui va affidata un’effettiva funzione istituzionale), attraverso la trasparenza delle prestazioni offerte (e dunque da particolareggiate “carte dei servizi e reports di bilancio partecipativo”), al fine di evitare possibili comportamenti opportunistici.

Nello specifico per quanto riguarda le aree di interesse sociosanitario si dovrà considerare che:
1. operare nelle aree di competenza sociosanitaria coincide, in ogni contesto, con la promozione di processi e pratiche di attribuzione di senso e soggettività alle domande di chi spesso invece viene ridotto al silenzio, catalogato e reso anonimo;
2. l’attività riabilitativa nelle aree sociosanitarie è, quindi, innanzitutto attività di ricostruzione dell’accesso ai diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, che richiede un continuo abbattimento degli ostacoli del pregiudizio e dello stigma, attraverso un’infinita opera di promozione culturale dell’accoglienza a partire dall’organizzazione delle istituzioni pubbliche;
3. è necessario valorizzare la differenziazione e la creatività delle risposte mai definitive, mai totalizzanti, mai derivanti da un solo soggetto autocentrato, mai “solo sanitarie o solo sociali”;
4. i Servizi Pubblici non devono delegare la gestione di una parte delle proprie competenze al privato, ma devono ricercare partner per la costruzioni di contesti ove siano presenti le determinanti sociali “prodotti flessibili” predittive delle prognosi positive, e che, come ha affermato in un recente documento l’Oms, “devono essere parte integrante del trattamento medico” (welfare-mix);
5. il ruolo del partner Privato non sarà di gestire strutture più o meno protette, ma di fornire occasioni di apprendimento/espressività, formazione/lavoro, casa/habitat sociale e socialità/affettività opportune per la cogestione di Progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati. Al centro del sistema sarà, quindi, riposta la persona con un nome ed un volto unico ed irripetibile, portatrice di un valore, e non una struttura ed un organizzazione (anche se non profit);
6. al partner si dovrà chiedere di fornire queste occasioni attraverso la valorizzazione del residuale,
dell’ambiente, dei contesti, delle famiglie. La variabile economica, seppur necessaria, deve in questa progettualità essere “incorporata” nel sociale e gli elementi di scambio devono centrarsi sui legami più che sui beni (i beni forniscono l’indispensabile mediazione d’oggetto in un percorso ri-abilitativo);
7. si dovranno promuovere forme di privato sociale che favoriscano l’inserimento nelle compagini sociali, in veste di soci/associati, dei destinatari dei servizi, come strategia di attribuzione di poteri e diritti dei soggetti deboli e perché non si tratti di qualcuno (un’organizzazione) che fa qualcosa su o per qualcun altro (i fruitori) a fronte di un vantaggio economico (il bene), ma di qualcuno che fa qualcosa con qualcun altro (il legame), attraverso l’utilizzo di contenuti economici e della mediazione oggettuale;
8. è, inoltre, opportuno che il partner cogestore (insieme con gli altri soggetti) promuova e sostenga “la nascita ed il funzionamento di gruppi di mutuo-aiuto di familiari e di persone con disabilità e di cooperative sociali, specie di quelle con finalità di inserimento lavorativo”;
9. si devono, perciò, realizzare organizzazioni mutuali in cui siano presenti diversi portatori di interesse (multistakeholders): gli utenti ed i loro rappresentanti, i lavoratori, i volontari ecc, coinvolti e sostenuti dal Servizio Pubblico che, comunque, mantiene una funzione di controllo, nella direzione del Welfare Comunitario. Questo nella convinzione del valore terapeutico di ricostruzione dell’identità che questo processo di protagonizzazione e di ricontrattualizzazione porta con sé;
10. è necessario realizzare, come previsto dalle linee guida emanate dal ministero della Sanità per quanto riguarda la riabilitazione in genere, l’obiettivo di ridurre le conseguenze disabilitanti della malattia attraverso la ricostruzione del tessuto affettivo.
11. per raggiungere questi obiettivi è necessario attivare strumenti di integrazione organizzativa (Unità di Valutazione e Progettazione) per la “formulazione di piani terapeutico riabilitativi personalizzati, con assegnazione di responsabilità precise e di precise scadenze di verifica” con il coinvolgimento delle famiglie nell’attuazione degli stessi possibilmente su base locale/comunale.
12. è necessario condividere il percorso di revisione del ruolo dell’Ente Locale, maggiormente orientato alla definizione di politiche innovative per le aree ad integrazione sociosanitaria anche con destinazione di quote di bilancio, con particolare riferimento alla programmazione e gestione della L. 328/00.
13. vanno promossi modelli di ricerca, formazione e informazione che siano incentrati sulle esperienze concrete coerenti con i principi qui delineati. In particolare, è necessario ipotizzare il Bilancio partecipativo come terreno su cui ripensare una diversa professionalità di lavoro socio-sanitario rinnovandone “l’impianto metodologico secondo i principi del lavoro in rete”.

Obiettivi e azioni di cogestione dei Budget di Salute

La modalità di cogestione dei Budget di Salute dovrà orientarsi secondo gli obiettivi definiti dall’Asl e dai Comuni, che si intendono fatti propri anche dai co-gestori. Essi riguardano la concretezza dell’operatività nelle aree/diritti citati e di seguito descritti.
1. Apprendimento/ Socialità/Affettività;
2. Casa/Habitat Sociale;
3. Formazione/Lavoro;

Le tre aree/diritti corrispondono ai principali determinanti della salute, elementi che influenzano e promuovono in modo significativo il benessere della persona, alla cui fruibilità vanno orientate le capacità/abilità della stessa. Fermi restando gli obiettivi e le azioni specifiche, in tutte le tre aree Servizio Pubblico e Privato Sociale ed imprenditoriale si impegnano, rispettivamente, al conseguimento dei seguenti obiettivi generali:

Il Privato
1. sostiene l’acquisizione di comportamenti volti alla promozione ed al mantenimento dello stato di piena salute, come definita dall’Oms;
2. promuove e contribuisce alla costituzione di sviluppo economico sociale locale e alla ri-abilitazione integrale del territorio;
3. sostiene e formula il bilancio partecipativo sociosanitario ed ambientale insieme ai Comuni e all’Asl, per la parte rilevante l’area in questione;
4. contribuisce, con l’Asl ed i Comuni, alla trasformazione del prodotto sanitario rigido (Welfare dei servizi) in prodotto flessibile (Welfare Comunitario/ municipale), attraverso i Budget di Salute;
5. sostiene lo sviluppo locale anche attraverso l’uso delle risorse dei progetti regionali, nazionali ed europei volti alla re-inclusione delle persone svantaggiate.

Il Pubblico
1. sostiene l’acquisizione di comportamenti volti alla promozione ed al mantenimento dello stato di piena salute, come definita dall’Oms;
2. persegue la cultura della deistituzionalizzazione e della prevenzione della nuova istituzionalizzazione delle persone con disabilità ed in condizioni di bisogno sociosanitario in carico ai servizi pubblici, attraverso piani di sviluppo del territorio, anche
attraverso l’uso delle risorse dei progetti strutturali regionali, nazionali ed europei;
3. sviluppa insieme ai comuni il bilancio partecipativo sociosanitario ed ambientale;
4. sostiene la trasformazione e regola l’interdipendenza fra Welfare dei servizi e Welfare Comunitario municipale, favorendo la trasformazione di prodotti rigidi (servizi) in prodotti flessibili (progetti individuali).

1. Apprendimento/socialità/affettività

Alla persona in Budget di Salute devono essere fornite occasioni di apprendimento, applicazione e sviluppo delle conoscenze acquisite, in maniera strutturata (reti formali) e non strutturata (reti informali).
Obiettivo delle attività dovrà essere l’apprendimento e l’acquisizione di un’abilità, prima non posseduta, e/o lo sviluppo della stessa, avendo cura di identificare ciò che la persona è capace di fare.
La persona in Budget di Salute dovrà essere messa in grado di usare l’immaginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzione di opere autoespressive, di eventi di natura religiosa, letteraria, musicale ecc., scelti autonomamente. La persona dovrà poter usare le proprie capacità di espressione politica, artistica, religiosa; poter fare esperienze piacevoli ed evitare dolori inutili. La persona dovrà essere sostenuta nel formarsi una concezione di ciò che è bene e nell’impegnarsi in una
riflessione critica su come programmare la propria vita.
La conservazione e la valorizzazione dei possessi (mobili ed immobili) personali delle persone con disabilità sociale, dovranno essere utilizzati come principali mediatori dell’apprendimento e dell’applicazione della conoscenza.
Nel caso fosse necessario, dovrà essere promosso l’apprendimento di base, come l’imparare a leggere, a scrivere, a calcolare e le esperienze sensoriali intenzionali, come il guardare, ascoltare, utilizzare gli organi di senso intenzionalmente per sperimentare stimoli (toccare, gustare, sentire profumi, ecc.).

2. Casa/Habitat sociale
La Casa/Habitat sociale costituisce obiettivo da conseguire ed eventuale possesso da esercitare, in forma singola o mutualmente associata (gruppi di convivenza). Le abitazioni, che attraverso il BdS entrano nella disponibilità delle persone-utenti, potranno avere forme di supporto differenziate, in relazione alla scelta delle stesse persone-utenti e del servizio pubblico.
I BdS prioritariamente orientati verso l’area casa/habitat sociale avranno l’obiettivo di limitare nel tempo i sostegni attivi di supporto erogati, sostituendoli con la personale e ragionevole capacità di autogestione degli utenti stessi e seguiti dallo specifico servizio domiciliare, anche attraverso forme sperimentali di cura e sostegno familiare.
Il supporto assistenziale da parte dei servizi sanitari competenti si attua, con i livelli di intensità necessari, soprattutto presso il domicilio dell’utente. L’uso dell’abitazione, da parte dei soci in BdS delle or45 ganizzazioni cogestrici, deve essere previsto all’interno del piano d’impresa e/o di sviluppo dell’organizzazione stessa, che deve quindi comprendere un piano d’investimento e ammortamento delle case per i propri soci.

3. Formazione/lavoro
L’obiettivo in quest’area è la formazione professionale e la pratica di una attività come inserimento e sostegno alla costruzione di forme reddituali attive delle persone-utenti in età lavorativa con finalità emancipative o economiche, oppure come partecipazione attiva e fruitiva, in qualità di soci lavoratori o fruitori di ambienti operosi, produttivi e ad alto scambio interumano. La “borsa di formazione-lavoro” è lo strumento propedeutico e di promozione dell’inserimento lavorativo o fruitivo ed è parte integrante del Budget di Salute. Le organizzazioni del Terzo settore e del privato imprenditoriale promuovono e attuano insieme ai Comuni, Province, Asl etc. la L. 68/99 per sviluppare i patti territoriali per la formazione-lavoro delle persone svantaggiate.
In questa prospettiva si supera anche la spinosa separazione tra le imprese sociali di tipo A e tipo B affermando esplicitamente ex lege che le imprese si chiamano sociali quando e se inseriscono al lavoro e/o nel diritto abitativo e/o formativo le persone appartenenti all’area dello svantaggio come da art.4 legge 381/91 e/o quelle previste dalle norme europee per le aree comunitarie svantaggiate e nella misura minima del 30% dei soci lavoratori, anche accedendo a forme di reddito contrattualizzate, defiscalizzate e premiali.
Concorrono alla formazione del 30% i lavoratori, i volontari, i fruitori, i finanziatori, sia se afferenti all’ente co-gestore sia se afferenti anche ad altri enti del Terzo settore in rete e vocazionalmente dedicati alla cura dell’habitat (ambiente cultura casa) e/o della formazione e apprendimento e/o della assistenza e cura delle persone.