Per cambiare rotta, i welfare state occidentali devono immaginare che per ogni persona vulnerabile bisogna agire su habitat, socialità e affettività. È questa la ricetta dei Budget di Salute

Il Covid-19 sta facendo saltare una ad una tutte le strutture del nostro welfare disuguale e di una parte della nostra economia malata e ci sta lanciando a ragionare su paradossi fino a ieri inimmaginabili: il Sud che vuol chiudere i confini ad un Nord che tutto ad un tratto appare patria dell’inefficienza sanitaria; gli imprenditori agricoli che pregano i migranti di tornare in Italia per il tempo della raccolta, dopo anni di retoriche vincenti sui porti chiusi e sul rischio “invasione”; lo Stato italiano che per proteggere se stesso dal rischio sanitario è finalmente costretto a parlare della regolarizzazione degli immigrati presenti
sul suo territorio; i detenuti che chiedono attenzione per le condizioni in cui vivono e finalmente ottengono un po’ di ascolto ( è sempre bene ricordare che l’Italia è stata condannata più volte della Corte Europea dei Diritti Umani per il livello di degrado e di sovraffollamento delle nostre carceri); la dispersione scolastica che si può censire tra alunni connessi e alunni non connessi (in Campania e Calabria 4 su 10): dopo venti anni dall’inizio dell’era dei nativi digitali le famiglie sono ancora obbligate a spendere annualmente centinaia di euro per acquistare libri scolastici, libri che ora avrebbero potuto scaricare sui tablet dei figli con cifre molto minori ed addirittura fare un semplice upgrade per le lezioni a distanza.

Ora siamo ad un guado: possiamo mettere mano alle ispezioni nelle Rsa per vedere chi ha sbagliato, possiamo bocciare i dispersi della scuola ed i presidi poco preparati, punire le rivolte dei detenuti e le direzioni che non hanno saputo contenere le rivolte, regolarizzare eccezionalmente gli immigrati per venire incontro alle esigenze della raccolta e del contenimento del
virus, per poi tornare allo stesso welfare di prima, oppure fare nuovo il welfare e lavorare non sul rischio del contagio, ma sull’agio.

Che cosa è davvero “agio” per una persona vulnerabile: essere immerso nelle relazioni significative della sua vita o essere curato”? Essere sbattuto in cella o essere accompagnato in un cammino di rieducazione? Essere bocciato a scuola o preso in carico?
Ci stiamo scandalizzando per la strage dei nostri nonni, perché finalmente vediamo i numeri complessivi della galassia del nostro welfare delle strutture convenzionate e come un campione statistico della strage in corso, misuriamo le perdite dentro le residenze che dovrebbero proteggerli. Abbiamo scoperto che al Nord la sanità è più insicura perché sono mancati i Dpi in oltre l’80% dei casi, ma anche perché la presa in carico personalizzata, che dovrebbe essere la normale e principale etodologia di intervento, non è affatto diffusa nei territori. La “cura” è ancora largamente concentrata in strutture che accolgono persone fragili, strutture che possono essere eccellenti o fatiscenti ma che restano pur sempre uno scampolo di 900.

Che cosa potrebbe esserci di diverso?
L’Organizzazione mondiale della sanità lo ha enunciato in svariati papers nell’ultimo ventennio: se vogliamo un buon welfare per gli anziani e le persone affette da malattie cronico degenerative, non dobbiamo agire solo sui sistemi sanitari, ma sulle determinanti sociali della salute, su quelle variabili che, se prese in carico dalla comunità, aumentano la qualità di vita generale e non solo dell’ “utente” del welfare.

Per cambiare rotta, i welfare state occidentali dovrebbero immaginare che per ogni persona vulnerabile bisognerebbe agire su habitat, socialità, affettività, e per le persone che hanno una disabilità sociale (tante di esse invecchiano nelle strutture) investire in formazione e lavoro. Questa è la ricetta dei Budget di Salute, che oggi sono residuali rispetto ai ricoverati nelle strutture, soprattutto al Nord, proprio come le misure alternative sono residuali rispetto al carcere, mentre dovrebbero essere la norma in una giustizia penale moderna Per ogni persona vulnerabile, compresi i detenuti, i minori a rischio, gli immigrati che devono integrarsi, lo Stato non dovrebbe semplicemente spendere ma “investire”, investire in coesione sociale, investire nel capitale sociale che determina il cambiamento dei luoghi e delle persone, investire nelle pratiche sociali che
valorizzano e non estraggono la sofferenza dai territori per concentrarla in strutture dedicate, sulla base di rette ( tra l’altro con una differenza tra nord e sud come se le vite degli anziani e dei disabili avessero prezzi diversi).

Per ogni vulnerabilità lo Stato, attraverso i suoi Comuni preferibilmente, dovrebbe investire in un progetto in cui il legame tra la persona ed il territorio sia inscindibile. La sanità efficiente del nostro welfare ha costi elevatissimi proprio nella presa in carico dei cosiddetti pazienti dalle porte girevoli, pazienti che entrano ed escono dalle cliniche e dalle strutture, come dalle carceri e dalle comunità terapeutiche, con il sistema delle rolling doors , perché vivono in una condizione di fragilità non transitoria ma esistenziale. Sarebbe molto più congrua una spesa sociale in cui sia il vicinato, la cooperativa sociale del quartiere, il contadino amico, il commerciante di fiducia a prendere in carico quell’investimento sociale, quel budget per la salute della persona. È possibile? Sì, è possibile. Basta rinnovare lo sguardo e passare dal sistema di delega da pubblico
a privato convenzionato, che è proprio del welfare mix, ad un welfare della partecipazione di comunità, imparare dalle piccole comunità in cui la coesione diventa cura, come tante zone rurali, del Sud come del Nord, in cui gli anziani vivono anche soli nelle case ed il sindaco, o un semplice cittadino, si fa sentinella per loro, si preoccupa quando non vede quella finestra aprirsi, quando la spesa al supermercato è troppo rara, quando il gratta&vinci inghiotte tutta la pensione di qualcuno. E quando un anziano si ammala è l’assistenza domiciliare integrata che dovrebbe funzionare per prima, mentre il ricorso alla Rsa dovrebbe essere l’extrema ratio, dovrebbe arrivare quando le altre misure di vicinato non hanno funzionato .

Per il welfare, bisognerebbe uscire per sempre sia dalla logica degli appalti che delle rette (per ogni vita una retta giornaliera) ed entrare nella logica della cogestione positiva e creativa tra un comune, l’Asl, gli uffici periferici della Giustizia, la società civile e la persona o la famiglia presa in carico.

Il dottore Angelo Righetti, principale promotore dell’appello della “Società Civile per un welfare a misura di tutte le persone e dei territori”, psichiatra della scuola di Franco Basaglia ed attivista e fondatore di alcune tra le esperienze più interessanti della società civile italiana, come la Nuova Cooperazione Organizzata di Casal di Principe, la Fondazione di Comunità di Messina,
la Cooperativa Noncello di Udine e tante tante altre, compreso il Consorzio Sale della Terra, ha scritto da anni un metodo manageriale e sociale della presa in carico che nonostante la sua evidente umanità ed economicità, stenta a divenire la pratica ordinaria per la presa in carico: i Progetti Terapeutico Riabilitativi Personalizzati con Budget di Salute. In regione Campania i Budget di salute sono una legge regionale grazie al suo grande lavoro di costruzione di ponti.
Il virus ci ha aperto gli occhi sulle Rsa, non cerchiamo solo gli eventuali colpevoli per poi chiuderli di nuovo, cerchiamo il cambiamento, cerchiamo la luna. Se il virus ci spinge a dividerci Sud/Nord cerchiamo l’unità nazionale in tutto il welfare: è assurdo accettare ancora che su 10 disabili assistiti al Nord ve ne sia solo 1 al meridione, come è assurdo che debbano
esserci città italiane in cui le scuole sono prive del servizio mensa e scuole in cui a mensa i bambini possano trovare il pesce due volte a settimana. Il contagio rientrerà, i detenuti riprenderanno a fare i colloqui con i familiari, ma non possiamo accettare che restino in una condizione di sovraffollamento e di mancanza di servizi educativi; i migranti non regolarizzati che
saranno entrati in Italia dopo la pandemia torneranno ad essere sfruttati nei tanti ghetti della nostra agricoltura intensiva. La grande attenzione mediatica e sociale alla crisi delle Rsa sono l’occasione per ripartire con un nuovo welfare, non per ripristinare l’ordine di prima.

Angelo Moretti

Estratto da: Vita